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ER MEJO FICO DER BIGONZO

"Er mejo fico der bigonzo" è un'espressione romana che descrive alla perfezione un certo tipo di fenomeno umano: quello che si sente il re del mondo nel suo piccolo orticello, ma appena mette il naso fuori scopre che il mondo è un tantino più grande di quanto immaginava.

Il "bigonzo" era un cesto di legno dove si raccoglievano i fichi, e lui, il fico più bello del mucchio, era convinto di essere il più bello, fino a quando non scoprì che fuori dal cesto c'erano interi frutteti pieni di fichi ben più saporiti. Come fece a scoprirlo, la leggenda non lo dice, ma… quale sport migliore del padel per ridare lustro a questa storia?

Nel meraviglioso mondo delle pareti di vetro e delle racchette senza corde succede spesso che, nei circoli, si creino delle vere e proprie dinastie di giocatori che si auto-eleggono élite intoccabili. Sempre gli stessi, sempre tra loro, sempre con la pretenziosa certezza di essere i migliori.

Se un giocatore un pochino inferiore gli chiede una partita, loro sorridono e fanno spallucce. Come se l'idea stessa di condividere il campo con un comune mortale fosse un affronto alla loro luminosa carriera di campioni.

D'altronde, perché rischiare di sporcarsi le mani con una partita troppo facile, con colpi imprecisi, con avversari che non restituiscono la palla come il dio del padel comanda? Meglio restare nell'élite, tra quelli che si scambiano occhiate d'intesa e battute sulla "gente che non sa giocare" e selezionano i compagni con la meticolosità di un sommelier davanti a una carta di vini d'annata.

Questo è il regno di chi si crede il migliore tra coloro che si credono i migliori, il più fico dei fichi, il "mejo fico der bigonzo" che schifa l'idea di giocare con qualcuno di meno esperto, come se fosse una questione d'onore. Ma, come tutti i fichi che si rispettino, anche lui prima o poi finisce fuori dal bigonzo. E allora accade l'inevitabile.

Dopo essersi iscritto con baldanza a un torneo di livello un tantino più alto, magari in un club dall'aria esclusiva, dove le polo sono sempre perfettamente stirate e il prosecco scorre con la stessa disinvoltura con cui si dispensano giudizi sugli avversari, il nostro fico si accorge che la sua bandeja tanto decantata si spegne mestamente a rete, la palla viaggia troppo veloce, gli avversari giocano colpi che nel suo circolo nessuno si sarebbe mai sognato di tirare, e lui, che si sentiva il re del padel, improvvisamente si ritrova a inseguire ombre.

"Com'è possibile? Ero il più forte!"
Eh sì, ma solo nel tuo bigonzo, amico mio.

Il padel dovrebbe avere una regola non scritta: chi è davvero bravo ha il dovere morale di fare crescere chi è meno esperto. Perché se il livello medio si alza, si alzano anche le sfide, e di conseguenza tutti migliorano. Ma questo, per il nostro mejo fico, è un concetto troppo difficile da digerire. Lui non vuole perdere tempo con i principianti, lui vuole il suo piccolo impero in cui nessuno metta in discussione la sua supremazia. Peccato che il giorno in cui uscirà dal bigonzo, qualcuno gli farà capire che non è altro che un fico come tanti.

La verità è che giocare con chi è meno bravo non è solo un atto di generosità, è anche un'ottima palestra. Ti costringe a variare il gioco, a lavorare sulla precisione, a ragionare di più sui colpi. Ti fa diventare un giocatore più completo. Ma per il mejo fico, questo è un dettaglio irrilevante. Lui non deve migliorare, lui è già perfetto. Almeno finché non si scontra con la dura realtà.

Alla fine, la vera domanda è: Vuoi essere davvero forte o vuoi solo sentirti forte? Perché se scegli la seconda strada, sappi che il mondo è pieno di bigonzi ben più grandi del tuo. 


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